Voi Safari Lodge

Accompagno Margherita nel suo safari.

Il driver si chiama Abderrazak, incredibile! Non immaginavo che avrei conosciuto un altra persona con questo strano nome…

È un signore nato in India e arrivato in Kenya da piccolo. Mi chiede se può fumare in macchina. Naturalmente no. Prova ad insistere, dice che ne ha bisogno. Sono risoluta sul mio no. Non credo che sia abituato a sentirsi dire di no. Ma non cambio idea. In quasi due giorni non smette di provare ad ottenere la mia autorizzazione. Non la riceverà…

Partiamo alle 7:30, destinazione Sala Gate. Non possiamo evitare che si fermi due volte lungo la strada per farci visitare dei negozi di souvenir. Abderrazak fuma, fa merenda e noi gironzoliamo fra animali di legno e tele dipinte.

Appena prima dell’ingresso c’è l’usuale sosta al Crocodile qualcosa, lo shop che ha l’accesso sul Galana River dove stanziano coccodrilli pigri abituati alle visite dei turisti. Prima di scendere verso il fiume ci attraversa il sentiero veloce un serpentino verde smeraldo lungo e stretto, un green mamba? Oppure un serpentino innocuo? Si infila nell’intreccio di radici di un albero. È spaventato come noi.

I coccodrilloni sono stesi al sole. Una, dicono, ha la pancia piena di uova.

Poco dopo l’ingresso un gruppo di struzzi, un maschio e qualche femmina. Attreverso la radio il driver viene informato che poco distante, in riva al fiume c’è un ghepardo che si riposa. Lo raggiungiamo. Il ghepardo ha lo stesso colore della terra ed è sdraiato all’ombra di un albero. Bellissimo. Un po’ infastidito della visita dei turisti. Si alza e se ne va.

Anche noi proviamo a muoverci ma la macchina non funziona. Il cambio non si inserisce. Che noia! Su quattro safari tre volte si è rotta la macchina. Non voglio pensare che ci sia alcuna relazione. Penso solo che è una grande noia. Il driver ci trova un passaggio su un pulmino che trasporta una coppia di Brescia e che ci porterà al Lodge. Sono tutti molto gentili. Gironzoliamo con loro. Il driver li deposita al loro lodge e poi ci porta al nostro. Lungo il tragitto vediamo aquile, giraffe, zebre, antilopi e gazzelle e gli elefanti. Condividono la magra ombra di un albero un gruppo di facoceri, delle antilopi e delle zebre.


Arrivati al Voi Gate mi rendo conto che stiamo andando in una direzione diversa rispetto a quella che ritengo corretta e così scopro che stiamo andando in un lodge diverso rispetto a quello in cui sono già stata, ma che ha un nome simile. Ci inerpichiamo sulla collinotta a destra del gate e raggiungiamo il Voi Safari Lodge. Mi aspettavo di tornare al Voi Wildlife Lodge… Il lodge è abbarbicato sulla cima della collinotta e di fronte ha la savana a perdita d’occhio.


Anche in questo lodge ci sono alcune pozze alle quali vanno gli animali ad abbeverarsi. Quando arriviamo un bufalo è sdraiato in una di queste. Un altro bufalo passeggia e si allontana. Arriva un elefante. Lento e misurato. Scavalca il muretto che circonda una delle pozze e comincia a bere. Beve per un tempo infinito. Scopriamo per caso che c’è una sorta di passaggio nascosto che porta in uan specie di bunker a un passo dalla pozza. L’elefante è a un paio di metri da noi. Sussuriamo. Cartelli alle pareti del bunker impongono: silenzio!

Risalendo ci accorgiamo che nel corridoio nel quale si inerpica la scala per tornare al lodge c’è un bellissimo nido di terra con un corridoio d’ingresso. Quali uccellini realizzano fantastiche costruzioni come queste? Immagino uccellini del tipo delle rondini. Mi accorgo poi che il sottotetto di un’area del lodge è un gigantesco condominio di un qualche tipo di rondini che formano delle nuvole schiamazzanti e allegre. I nidi sono abbarbicati uno sull’altro, in costruzione e anche giá abitati. Le rondini volano e stridono e sono mille milioni.

Di fronte al ristorante un albero ospita invece un condominio di tessitori mascherati, sempre loro, anche loro schiamazzanti. I nidi penzolano, anche qui alcuni già finiti con l’erba intrecciata ormai secca e altri in costruzione, dei cerchi di fili verdi al quale si appendono i costruttori.

Dei cartelli sparsi ovunque raccomandano di tenere chiuse le finestre delle camere perché la zona ospita dei babbuini piuttosto invadenti che non esitano a fare dei bliz e a sparire nel bush con borse e valigie rubate. Io ne ho esperienza. Anni fa ero seduta in fondo al fuoristrada, le portiere davanti aperte. Solo io nell’auto. Qualcuno mi passa un pacchetto di biscotti. Tolgo i biscotti ancora avvolti dalla plastica dalla scatola di cartone. Un attimo. Meno di un attimo. Una folata e i biscotti non sono più nelle mie mani. Un babbuino entra da un lat,o me li strappa e scappa dall’altro. Si siede su un muro e se li mangia. Accidenti a lui. Così faccio il testone a Margherita perché si ricordi di chiudere la finestra.

Il mattino dopo a colazione sul tetto del ristorante sembra che corra una mandria di zebre, sembra evidente il rumore degli zoccoli. Sono i babbuini. Forse addirittura solo uno che si installa sul bordo del tetto. I camerieri cercano di allontanarlo con una fionda. Forse la loro mira non è così precisa o forse la pellaccia dei babbuini è robusta, non sembra afftto preoccupato e se ne sta lì incurante. Ci stanchiamo prima noi di lui.

La macchina sostitutiva di quella che si è rotta non ha la radio. Il driver è spesso attaccato al telefono con altri colleghi per condividere la posizione degli animali più ricercati. Appena lasciato il lodge alla mattina incontriamo un ghepardo. Seduto, indifferente sul ciglio della strada. Guarda a lungo in una direzione. Cerchiamo di capire cosa lo interessi. Ma in effetti sembra sostare  senza precise intenzioni. Gira la testa di qui e di là. Dobbiamo raggiungere un punto in cui si dice ci siano dei leoni e riavvviamo la macchina. Il rumore lo disturba e si avvia piano nel bush con quella sua bellissima e caratteristica andatura da magro e con il collo lungo proteso fra le scapole.


I leoni sono in realtà delle leonesse coi cuccioli. Belli bellissimi. Sdraiati intorno a un cespuglio ampio che tra poco quando farà più caldo li conterrà tutti. I cuccioli panza all’aria. Uno curioso con la testa diritta sul collo che spunta dall’erba che lo nasconde. La massa delle leonesse mi fa sempre un certo effetto. Sono muscoli e potenza. Nessun segno di allarme. Placide a dormire e rotolarsi come se non esistessimo. Potenza che non ci considera minimamente. Siamo nulla per loro. A meno naturalmente di decidere di scendere e avvicinarsi. In quel caso forse addirittura ci apprezzerebbero. Chissà…

Raramente gli elefanti sono soli. In genere sono gruppi più o meno numerosi che marciano silenziosissimi per la savana o che stanziano intorno a delle pozze d’acqua. Vicino ad Aruba c’è una pompa a vento che porta l’acqua in una pozza. Una bella famigliona con femmine con cuccioli. Uno è un microelefante, minuscolo in proporzione alle masse che lo circondano, anche a quella della madre. Una pallina fra zampone che si muovono confuse e lente. Il maschio del branco è gigante, altissimo. Ho l’impressione che ci tenga d’occhio con la testa alta e le orecchie che sventolano.

I dik dik, le gazzelle, le antilopi, le zebre non ci fanno quasi più effetto. Attraversiamo la savana diretti al Galana River perché vorrei provare e vedere gli ippopotami. Spesso incontriamo queste bestioline graziose che scappano o sostano a distanza di sicurezza ma ormai le guardimo con occhi distratti. Le uniche per cui ancora chiedo all’autista di fermarsi sono le gazzelle giraffa. Hanno un collo lungo ed esile e brucano dai cespugli stando in piedi sulle zampe di dietro. Delle capre graziose.

Il fiume è gonfio di acqua. Altrove ha piovuto di più e la corrente è forte. Il driver dice che non ci sono le condizioni per vedere gli ippopotami. Invece ci sono. Enormi ciccioni grigi e rosa. Anche qui mamme coi piccoli. Grandi culoni e piccoli culoni. Li tengo d’occhio io questa volta perché una volta ho sperimentato la loro famosa velocità. Un attimo prima sono sull’altro lato del fiume e all’improvviso sbucano veloci sotto ai tuoi piedi. No no. Li controllo con occhi amplificati. Decidiamo per un pic nic in sotto a un albero in prossimità del fiume. Siediti, mi dice il driver. Non ho voglia di sedermi sulla terra. No grazie sto in piedi. Mi avvicino a un tronco caduto. No non sederti lì, dice il driver, lì potrebbe essere pericoloso. Ok sto in piedi. Continuo a tenere d’occhio i movimenti degli ippopotami. Non si sa mai…

Fare la pipì dietro ad un cespuglio da un senso di audacia. La faccio in mezzo secondo con uno sguardo alle mie spalle a trecento gradi. I sensi sono una cosa bizzarra che si amplifica alla bisogna.

Torniamo.

Di nuovo non possiamo evitare le soste nei due negozi di souvenirs dell’andata. Bambini a frotte, come usuale: ciao-jambo-caramellaaaaaa, scalzi, corrono dietro alla macchina.

Siamo rossi di sabbia sulla pelle, nelle orecchie, nelle pieghe, nelle tasche.

Sono contenta della nostra esplorazione ma sono contentissima che ad aspettarci ci sia nienpopodimeno che il Lonno Lodge…

Ansiosa? Chi, io??

Le isole

Tizio dice: Vado a fare una passeggiata sulla barriera con la bassa marea

Dico: Posso venire anch’io? Prometto che sto zitta

In questi giorni ho parlato un mucchio, espresso pareri in continuazione. Bruno osservava la situazione e occhieggiava ostentatamente suggerendo: Mmmmm…. Stop! Ma io non gli ho badato molto e c’è stato un momento in cui ho pensato: Oh Oh… Perché credo di essermi avvicinata al limite di quella che Tizio dice essere la propria sopportazione. Dice cose del tipo: E’ difficile farmi arrabbiare ma quando capita… e sospende minaccioso. E in effetti io stessa ho assistito a delle improvvise sparizioni

Ma Pinco Pallino non lo vediamo questa volta?

Pinco Pallino mi ha fatto arrabbiare… ed è meglio che stia a casa sua….

E ho capito che Pinco Pallino è sparito e che non è un buon argomento (ma dooopo l’ho capito….)

Così prometto di stare zitta. Tutto sommato è per me stessa che lo faccio, o no?

Così alle 5 e mezza di sera saluto Bruno che resta a presidiare la sua postazione e lo seguo.

La partenza non è delle più favorevoli perché non si trovano le chiavi del magazzino che custodisce le scarpine per camminare sugli scogli (e sui ricci… sigh…), ma vedo che Tizio parte lo stesso e così penso: Non fare la mollacciona, vai piano, stai attenta a dove metti i piedi e vai con le tue ciabattine. D’altra parte anche lui, anche se è molto disappuntato per via delle chiavi del magazzino, va con le sue ciabattine.

E così lo seguo.

Camminiamo lungo la riva sotto gli scogli per un po’ e poi ad un certo punto prende la sinistra puntando quella che lui chiama l’isola e che è un affioramento di sabbia pieno di uccellini in prossimità delle isole vere e proprie che immagino siano la nostra meta.

Cerco di seguirlo ma coi piedi muove la sabbia e non vedo esattamente dove vado con le mie ciabattine.

Mi dice: Vieni dove vado io.

Ok, ricomincio a seguirlo, buttando un occhio a dove mette i piedi e cercando di capire se affonda o se riesce a stare in superficie. Ad un certo punto avvia la ripresa tenendo con un braccio il bastone con fissata la cinepresa e controllando la ripresa con il telefonino. Insomma, non dà l’idea di uno che sappia dove sta mettendo i piedi. La roccia, la barriera, non affiora perché la marea è bassa, ma non ai suoi minimi, e non è così facile (almeno per me) allungare lo sguardo per indovinare qual’è il tracciato migliore. Ma lo seguo lo stesso con passo incerto. Ad un certo punto il fondo si abbassa e lui attraversa e mi suggerisce di tenermi più a destra. Ma alla fine della frase è già lontano.

A destra? Guardo. Alghe. E sotto? Mmmmm…. ricci?

Ok, ci provo. Mi muovo piano, tastando il terreno invisibile. Ogni tanto sento: crock! Chissà cosa sto distruggendo.

E lui è sempre più lontano.

Ok, non fare la frigna… piano piano….

Dopo un po’ mi dico che non vedo chi me lo fa fare. Non vedo un tubo, ho queste ciabattine minchiute e il minimo della bassa marea è già passato.

Alzo lo sguardo. Lui è lontanissimo. Ok. Decido di tornare. Seguo la sabbia e gli uccelli che sanno dove posare le zampe.

Mi dico che in fondo lo sapevo già. Un’altra volta mi aveva detto: Andiamo a fare snorkeling e io ero andata.

Mi aveva fatto immergere in un punto in cui l’acqua era bassissima (o almeno così sembrava a me) in corrispondenza di un tappeto di ricci. Transeat, sono entrata. Quest’acqua, pensavo, è Oceano Indiano e già, detto così, mi fa pensare a qualcosa di immenso e potente.

Una volta immersa mi aveva fatto cenno di seguirlo. Cosa che avevo trovato tutt’altro che facile. Ogni volta che sollevavo lo sguardo sopra la superficie per localizzarlo lo vedevo distante. Riabbassavo la faccia in acqua e puntavo verso di lui. Quando credevo di averlo raggiunto e rialzavo lo sguardo scoprivo che era finito da tutt’altra parte. Era difficile concentrarsi sullo spettacolo sotto di me. Continuavo a pensare di essere da sola abbandonata nel mezzo dell’Oceano Indiano. E così, già quella volta, avevo pensato: Ma va’ a ciapa’ i ratt, io esco.

Questa volta è successo più o meno lo stesso.

Ero sola (certo né prima né questa volta ero effettivamente in mezzo all’Oceano Indiano), ma se parto da sola, mi assumo la responsabilità della strada che scelgo e questa volta, pensavo, non è la strada che ho scelto.

E così sono tornata sulla spiaggia.

Lui era un puntolino lontano al bordo della barriera corallina

Gli affioramenti di sabbia erano nel frattempo del tutto spariti. E’ vero, l’alta marea non arriva tutta d’un botto. Arriva pianissimo, ma la luce del tramonto rendeva ancora più difficile vedere dove si mettevano i piedi sott’acqua.

Ho pensato: Sto qui, presidio.

Nel frattempo ho scritto un uozzàpp a Bruno dicendogli che io ero fuori dall’acqua ma il suo amico era ancora in mezzo al mare e non accennava a voler rientrare e la marea saliva e il sole calava e non si vedeva un tubo e…. le cavallette….

Ansiosa? Chi, io?

Per fortuna non c’era nessuna connessione e il messaggio non è partito….

Di fianco a me un gruppo di ragazzini giocava con un pallone di stracci sulla spiaggia. Ho pensato: Loro lo sanno quando è il momento di rientrare, se stanno lì belli tranquilli, vuol dire che c’è tempo….

Ad un certo punto i ragazzini se ne vanno col loro pallone improvvisato e lui comincia a rientrare.

Sei una sciocca ansiosa. Tutt’al più, se non ci vede bene, si fa un bagno. La macchina che riprende è stagna….

Ma lui si ferma ancora lontanissimo e comincia una danza circolare su stesso, una, due tre volte con il bastone che riprende in alto per aria.

E alla fine rientra, senza problemi e senza ansie, e senza cadere.

Camminiamo lungo la riva.

Camminiamo e siamo arrivati.

E’ l’ora dell’aperitivo, evviva!

Ma io credo di aver capito come sono fatta io e come è fatto lui e la prossima volta prometto ancora di stare zitta, si, ma priiiima di rispondere: Vengo anch’io!….

Anche tu, Tizio, peraltro, sei d’accordo con me…., vero?

Sulla strada del ritorno

Mi piace…

ingresso

Mi piace questo piccolo divano, mi piace il suo legno, le sue dimensioni e i suoi cuscini. Mi piace sedermici, sdraiarmici sopra e leggere.

Mi piace questa finestra, qui, in questa posizione che si apre quasi per caso su una striscia intima di giardino. Mi piace il rumore delle foglie giganti, mosse dal vento, che raspano contro il muro e sembra sempre che stia per arrivare qualcuno.

Mi piace la finestrina piccola e quadrata là in alto perché ci sono dei momenti in cui ci passa la luce, non so quando, e riverbera per tutta la stanza.

Mi piacciono le piante in questi vasi giganti con questa terra nera e fina.

Mi piace questo movimento del soffitto, queste travi che reggono l’ultimo gradino della scala, una coppia di travi solitarie in mezzo alla stanza.

Mi piace l’ingresso con le due porte. Credi di essere entrato e invece sei ancora fuori, ma in mezzo ci sono queste due dame inginocchiate, che sono cadute un mucchio di volte perché sono così lunghe, e così hanno perso dei pezzi, un pezzo di piede, un ricamo.

Mi piace il terrazzo e il tetto in makuti che piano piano scende e il nido di quegli uccellini cicciotti che sanno che tutto il mondo è per loro.

Mi piacciono quei buchi alti lunghi e stretti sopra l’arco perché offrono questo insolito azzurro del cielo.

Mi piacciono quei signori che stanno dentro alle nicchie e che hanno la testa girata e magari una lancia con la quale sembrano grattarsi la barba.

C’è qualcosa in questa stanza che mi piace

IMG_4171

Novant’anni

Al Lonno Lodge c’è una famiglia che festeggia i novant’anni della nonna: nipote, figlia, genero e nonna.

Novant’anni di donna con la forma delle nonne vere. Grembiulone fresco a fiori, i fiori delle nonne, un sorriso che fa gli occhi piccoli in mezzo a mille rughe, le rughe delle nonne. Piccolina, le servono i cuscinoni per raggiungere il tavolo quando mangia.

Cammina dondolando sulle sue gambe da nonna, un braccio a chi l’accompagna e uno dietro alla schiena.

Ha tutta l’aria di una nonna serena. E anche coraggiosa se accetta di prendere un aereo da Istanbul di notte per arrivare a Mombasa alle 4 di mattina.

Nessuno, a parte Silvia, le fa gli auguri il giorno del suo compleanno. Quando siede per il pranzo sui suoi cuscinoni, parte dalla cucina il corteo del personale: Jambo, jambo bwana, habari gani? Mzuri sana… Le girano in tondo cantando… E che sarà mai? La cuoca gorgheggia e sbatte i mestoli, il pasticcere Jason ha una voce da basso che si coglie appena…. “Happy birthday to you, happy birthday dear Mama, happy birthday to youuuuu”. La nonna è in lacrime, scivola giù dai suoi cuscinoni, Silvia le porge un mazzo di rose. Piangono tutti. Lei vuole baciare tutti… Agita la mano: tutti tutti, vi voglio baciare tutti… Piange, ringrazia con un discorso articolato in turco che nessuno capisce e nessuno traduce. Piangono tutti. Si nasconde il viso tra le mani, piange e sorride. Dice qualche parola in francese…

Chissà chi è? Chissà qual’è la sua storia di turca in Turchia? Chissà cos’ha visto e cosa pensa?

Mannaggia a questo mondo di interazioni interrotte…..