No, non potete salire

Dopo colazione partiamo subito in direzione di Ostellato. Il tragitto lungo una normale provinciale è poco interessante. Campagna e civiltà.

A Ostellato ci procuriamo il biglietto del treno, comperiamo il pane ferrarese, la coppia, ci facciamo fare un panino per il viaggio di ritorno e aspettiamo fiduciose l’arrivo del treno.

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Prima che il treno arrivi cerco di chiamare un numero verde che viene indicato per chi vuole viaggiare con le bici.

All’arrivo del treno, il macchinista si sporge dal suo finestrino facendo segno di “no” col dito.

Nooo? In che senso?

Arriva il controllore e dice che non ci può caricare. “Su questo materiale non abbiamo l’autorizzazione a caricare biciclette”

Noooo….. Piagnucolo, noooo…. Non potete lasciarci qui, dobbiamo tornare a casa….

“Non posso caricarvi”

Insisto fino allo sfinimento e ci caricano con l’accordo che scendiamo alla stazione prima di Ferrara per non metterli in difficoltà all’arrivo.

E così saliamo e stiamo lì “tra le balle” di quelli che salgono e scendono (veramente pochi) fino alla penultima stazione dove veniamo congedate con le indicazioni su come raggiungere la città.

Pedala pedala. E arriviamo a Ferrara e Orietta va alla stazione e io vado a restituire la bici al biciclaio.

Ferrara è bellissima. Davvero un peccato non averla visitata.

Prendiamo il treno per Bologna dove ci separiamo.

E’ stata una bellissima esperienza.

Cervi, anguille e paperini

Buona la colazione.

L’oste ci offre le piantine fatte apposta per i manubri delle biciclette con i percorsi delle ciclabili da Goro a Comacchio.

Si va a Gorino attraversando il paradiso dei paperini. La laguna, i canneti, acqua e acqua e cielo e tantissimi uccelli, e tantissimi paperini. Immagino che non possano essere che molto felici. Questo pezzo di mondo sembra costruito per loro. E sembra anche un posto molto allegro perché c’è un vociare senza fine.

Gorino è pesca e pescherecci e reti e pali e odore forte di pesce.

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Lasciamo la bici al porto e proviamo a percorrere il sentiero che dovrebbe portare alla vecchia Lanterna, anche se cartelli a inizio sentiero avvisano che non è praticabile.

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Ci sono così tante nuvole di moschini, nuvole basse attraverso le quali le gambe passano sentendo l’attrito… e un rumore, un ronzio, un suono, il suono delle nuvole di moschini. Il paesaggio è stranissimo. Le reti tese a fisarmonica tra pali ficcati sulla riva, alghe che gettate sulla terra si asciugano formando un tappeto di tessuto bianco.

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Finalmente vedo da vicino queste strane acacie coi loro bellissimi fiori a pannocchia viola e arancioni.

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E questi strani fiori di cespugli che potrebbero sembrare eriche, ma probabilmente non lo sono

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Non raggiungiamo la lanterna, il sentiero è sdruscioso.

Riprendiamo le bici e torniamo a Goro seguendo uno sterrato che costeggia il mare. A sinistra il mare e le pozze che lasciano le onde piene di uccelli. A destra campi coltivati, un altro mondo.

Arriviamo al porto di Goro da cui riprendiamo la ciclabile che ci porterà a Comacchio.

La ciclabile costeggia il mare e attraversa il bosco della Mesola per circa un chilometro. Per entrare c’è un doppio cancello a prova di animale selvatico. Il percorso nel bosco è sabbiosissimo e per quasi tutto il tragitto camminiamo portando a mano le bici.

Al Lido di Volano Orietta suggerisce di trovare una rosticceria perché ha voglia di mangiare ancora pesce. Troviamo la rosticceria che raggiungiamo percorrendo una strada che alla sinistra ha un bosco fitto. Ogni tanto un cartello che punta verso un sentiero nella foresta indica un bagno (Bagno Mario, Bagno Settebellezze,…), in fondo al sentiero, fra gli alberi sembra di vedere il mare.

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Pranziamo su tavolacci della rosticceria e poi decidiamo di attraversare con le bici la foresta per riprendere la ciclabile che, immaginiamo, costeggi il mare. Appena fatte passare le bici dal cancello che chiude il sentiero ci si para davanti un cervo e poi un altro e poi un altro. Sono stupitissima e incredula: ma come, qui, in mezzo alla civiltà. Armeggio per fare una foto ma i cervi se ne vanno.

Dopo pochi passi ci rendiamo conto che la ciclabile attraversa per il lungo proprio il bosco, che meraviglia!

Pedaliamo sotto gli alberi, una vera meraviglia. Più avanti un altro gruppo di cervi più numeroso. Meraviglioso.

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Una passeggiatrice al cellulare con un cagnetto libero, senza guinzaglio… Ma come?…

Pedala pedala.

La ciclabile è bellissima in mezzo al bosco e poi sul mare, in mezzo ai cespugli.

E all’improvviso la civiltà. Non ho chiaro che Lido sia (delle Nazioni?), ma è sicuramente un altro mondo, la civiltà. E il percorso ora è su strada asfaltata, attraverso strade abitatissime e marine e turistiche. Fino alla svolta per Comacchio.

Arriviamo a una Comacchio che non m’aspettavo. E’ bellissima: canalini, ponti, edifici bassi. Mi aspettavo una città sul mare, quasi una città industriale e invece è bellissima.

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Cerchiamo un posto dove dormire. Ma come lo raggiungiamo con le biciclette cariche, su dai ponti e giù dai ponti? In realtà ci riusciamo benissimo, facendo un giro piuttosto largo. La Pescheria, un b&b proprio in centro su un canale, con sotto il ristorante. La stanza è una specie di corridoio con due letti singoli uno dietro l’altro. Sono distrutta, distruttissima. Ma troviamo il tempo per andare a visitare il museo della nave romana. Durante la costruzione di un canale è affiorata una nave romana con tutto il suo carico ancora a bordo. E sotto al fango si sono conservati anche oggetti fatti di cuoio e corde. La nave non è visitabile perché il contatto con le temperature e le atmosfere portate dai turisti l’ha cominciata a rovinare. E così ora è immersa in una resina che dovrebbe preservarla in un edificio a fianco del museo. Ma tutto il carico è sorprendente.

Non abbiamo tempo di visitare la fabbrica delle anguille, non si chiama così, la Manifattura dei Marinati e non ci riusciremo neppure domattina… peccato…

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Cena all Pescheria col risottino di pesce e le cozze e poi svengo. Orietta dice: “Nooo, non puoi dormire così subito. Non puoi lasciarmi subito sola”.

Posso benissimo

 

 

Nel bush

Ho fatto una passeggiata in bicicletta al tramonto con Aldo.

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Abbiamo curiosato per sentierini davvero stretti, sobbalzato, ci siamo insabbiati, abbiamo rischiato di ritrovarci al buio non si sa dove.

Ma è stato davvero bello

Abbiamo girato attorno ad una cava di mattoni. Sembra di vedere dei ruderi di una città, in realtà non è altro che una cava, nella quale sono state installate delle capanne.

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Abbiamo incontrato un baobab bellissimo

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Siamo tornati giusto un minuto prima che non ci si vedesse più

Bella gita

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In bicicletta sull’acqua

Chiedendomi come mai mi fosse saltata in testa un’idea del genere, chi me l’avesse fatto fare, perché non accetto di essere una fifona e me ne sto un po’ bella tranquilla, ho pedalato sotto il pieno sole del dopo pranzo verso Timboni.

Appuntamento al market.

Ok.

Market? ma nel senso di supermercato o al mercato coperto dove ci sono le donne che vendono le verdure?

Troppo tardi per porsi una domanda del genere. Decido che non conosco supermarket a Timboni e che preferisco credere che si tratti del mercato delle verdure.

Mi piazzo all’angolo vicino a una mucca che pascola sull’immondizia degli scarti del mercato.

C’è una puzza terribile.

Mi sposto all’ombra un poco più in là, davanti a una donna che sta pulendo delle erbe.

Mando un messaggio alla mia guida indicando precisamente dove mi trovo, così se ho per caso frainteso il luogo dell’appuntamento mi può raggiungere.

Già che ci sono mando anche un messaggio a Silvia per farle sapere che fino a qui sono arrivata e che all’ora dell’appuntamento non c’è ancora nessuno.

Silvia non riconosce il numero e mi dice che non ha appuntamento con nessuno.

Silvia sono iiioooo….

Tutto intorno c’è un fracasso incredibile.

Da un camion degli omini vestiti di rosso tengono uno spettacolo di fronte a un gruppetto di passanti che sono fermati. Artisti di strada in un certo senso.

Sotto un gazebo di una banca un uomo e una donna sono seduti annoiati ad un tavolo mentre una voce registrata urla offerte in swahili.

Da un macchina una voce attraverso il megafono grida proposte misteriose.

Arriva la mia guida. Evviva.

Partiamo pedalando verso Dabaso, lungo una strada diritta che va proprio verso l’acqua.

Avevo già fatto questa strada lo scorso anno, dovrei riesplorarla.

In un attimo siamo arrivati al “molo”.

Un ragazzetto che si presenta come il Capitano Capiccolo prende la mia bicicletta e la installa su di una canoa di legno. Al “molo” la guida scambia qualche parola con delle donne sedute. Sono le abitanti dell’isola che si trova nel Mida Creek. La guida dice che ci abitano circa 350 persone, un numero impressionante viste le dimensioni dell’isola, magari ho capito male. Vengono a terra a comperare farina, cibo e paraffina. Paraffina? Si, certo per le lampade perché sull’isola non c’è l’elettricità.

Mi rendo conto che l’elettricità è presente solo lungo le strade principali, tutto il resto dopo le sei di sera è al buio, quello vero.

Le biciclette sono caricate, partiamo.

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Mi installo su un’assetta di legno, appena dietro alle bici.

So che devo stare fermissima, perché l’equilibrio della canoa è mutabilissimo.

Costeggiamo il creek. Le mangrovie sono bellissime.

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Appena dietro le loro chiome si vedono spuntare le palme da cocco. Segno di presenza di abitazioni. Lungo tutta la costa del creek ci sono villaggi di pescatori che catturano il pesce installando delle trappole fatte con reti e cesti intrecciati.

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Proseguiamo lentamente. Il Capitano Capiccolo muove la barca spingendo un lungo bastone. Quando l’acqua diventa più profonda usa un bastone in fondo al quale è attaccata la pala di un remo.

La guida canta “Marina Marina” e “Bella ciao”. Ha una voce molto bassa ed è intonato.

Turisti italiani gli hanno insegnato musica e parole e la crociera prevede questo accompagnamento musicale.

In lontananza si vede un gruppo di fenicotteri. Altri uccelletti passano in gruppi numerosi radendo l’acqua.

Arriviamo a Mida Creek.

Mi portano la bicicletta vicino alla casupola dell’ingresso al parco e mi offrono di sciacquarmi i piedi dalla sabbia prima di mettere le scarpe.

Un tronco è tagliato longitudinalmente e appoggiato a terra di fronte a una panchetta.

Si mettono i piedi sul tronco e prendendo da un secchio di plastica l’acqua con una bottiglietta dell’acqua tagliata si fa scorrere l’acqua sui piedi persciacquarli.

Mi dico che non devo sprecarne.

Un ragazzo mi offre un cocco da bere.

Dico no. Temo di non apprezzarlo.

Ci ripenso, ho una gran sete, fa molto caldo. “Anzi, sì, grazie”

Con un macete prepara il cocco. Zac zac zac, trak, il cocco è pronto da bere.

E’ tantissimo. Quello che non riesco a bere, lo beve lui. Poi prepara un cucchiaio con la buccia del cocco e stacca la polpa morbida. Anche la polpa è tantissima. La divido con la guida.

Partiamo. Evviva.

Pedalando attraversiamo il villaggio di Mida. Bambini che salutano e corrono incontro. Donne fuori dalle case che lavorano. Uomini sotto ad una tettoia che arrostiscono dei pesci infilati in un bastone.

L’ambiente intorno è lussureggiante e bellissimo.

Nei villaggi sono presenti alberi di mango e di anacardi, bellissimi, con una chioma gigantesca e tronchi grandi e rami larghi. Gli alberi di anacardi hanno i fiori in questa stagione in contemporanea coi primi frutti

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Abbiamo pedalato lungo quella che la guida ha definito la Mombasa-Malindi dei suoi ancestors. A tratti la presenza di sabbia (per lunghissimi tratti) rendeva difficoltoso pedalare e abbiamo dovuto scendere e spingere la bicicletta.

Il percorso è stato molto lungo ma molto interessante.

Siamo arrivati a Timboni molto più tardi delle mie previsioni. La guida da Timboni sarebbe andata fino a Gede per ricaricare la batteria del suo telefonino, che avrebbe poi ritirato il giorno successivo.

Ho fatto la strada di ritorno al buio.

Dalle case di fango usciva il riverbero del fuoco acceso all’interno.

Mi sono resa conto che non sappiamo proprio cosa significhi vivere senza elettricità.

Vorrei documentarmi meglio sulle lampade a paraffina.

Non si sa mai.

No, non pedalo…

Ho rotto le scatole a tutti. Ho capito che ho rotto le scatole a tutti e avrei voluto romperle un po’ meno. 

Ma volevo la bicicletta. Volevo la bicicletta. E poi volevo la bicicletta.

E così adesso ho la bicicletta, ma non pedalo.

Siamo andati a Malindi, ho trascinato tutti a spasso per le vie dei biciclettari, adesso qui, poi là, poi al quarto piano di un magazzino sviluppato in verticale in una vietta (le biciclette erano all’ultimo piano, al penultimo i materassi. Ovviamente non c’è nessun ascensore), poi di nuovo dai biciclettari già visitati, con i miei accompagnatori che erano diventati muti e rassegnati.

Le bici nuove sono cinesi, fatte perlopiù di plastica. Le bici usate sono più robuste, ma sono usate, mancano i pirolini delle gomme, manca un freno qui e uno là. Basta. Torniamo a casa. Gli accompagnatori hanno accennato ad un sorriso. 

Uscendo da Malindi, Silvia, incauta, ha indicato un ennesimo biciclettaro.

Ho pensato: o adesso o mai più. 

Ora, a posteriori, posso dire che forse, incredibilmente, ho ottenuto sia “l’adesso” che il “mai più”.

Ho scelto una bicicletta grigia, cinese, nuova. Questa è la parte dell'”adesso”.

Il venditore mi ha spiegato che dai venditori le biciclette arrivano smontate e il loro compito è solo quello di mettere insieme i pezzi, ma non di verificare che i pezzi siano messi insieme in modo funzionale. La bici si rende manifesta, appare, ma ancora non è.

Prima di poterla utilizzare deve passare tra le mani di un meccanico che la sistema e la rende una vera bicicletta che ti può portare a spasso senza farti rovinare a terra dopo un metro.

Ok.

Portiamola dal meccanico.

Il meccanico è a Watamu. Sotto un albero, in “centro”, con i suoi collaboratori ripara e sistema biciclette. Contratto il prezzo. Ehm… Silvia contratta il prezzo.

Alle 4 sarà pronta.

Ottimo.

Nel pomeriggio mi vesto da ciclista (sono vestita normalmente ma in più ho le scarpe).

Kaparo, paziente, che mi aveva seguita su per quattro piani di scale e per le viette in mattinata, l’autista del Lonno Lodge, mi porta. Lungo il tragitto si informa se ho il cellulare per chiamarlo, nel caso la bici si rompesse pedalando al ritorno. Tutto a posto.

Arriviamo.

Parcheggiando Kaparo definisce la mia bici, lì che mi aspetta, “shining”. Eh Eh, penso io gongolante.

….

No, non pedalo.

Un tubo è difettoso e bucato. Il riparatore mi mostra che è da cambiare.

Acc!….

Penso che sia meglio tornare dal venditore e chiedergliene uno sano senza ulteriori spese (le spese ammonterebbero ben a 2 euro presso il riparatore, ma un principio è un principio).

E così faccio caricare al povero Kaparo la bici sulla macchina con il tubo penzolante dalla ruota dietro, perché così è già evidente per il venditore, e torniamo al Lonno Lodge.

E questa è la parte del “mai più”.

Ora Bruno e Silvia, attoniti, mi chiedono perché non l’ho fatta riparare subito e non sono tornata in bicicletta. Erano solo 2 euro.

Già…

Perché non l’ho fatta riparare subito?…

Erano solo due euro.

E così’ non pedalo.

Però ho la bicicletta!

 

Questo è il Lonno Lodge visto da uno che torna a piedi, senza bicicletta

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