Il cinghiale e il guazzabuglio

Io e Alessandra, allora bambina vivace di 8 anni, nei boschi a fare una passeggiata nel bel mezzo di una battuta al cinghiale. La mia prima battuta. Non avevo idea di cosa significasse. Non sapevo ancora che non fosse sano avventurarsi nel bosco nel bel mezzo di una battuta. Io e Alessandra che urlavamo come pazze perché fosse chiaro che non eravamo cinghiali, ma solo due pazze, una grande e ingiustificatamente pazza e una piccola che urlava come una pazza ma che non lo era (e non lo è mai diventata a giudicare da quanto è in gamba oltre che bella).
A noi, lontane dal mondo della caccia, calate da un nord animalista fondamentalista tutto quel gridare dei cacciatori e l’ululare dei cani e i botti sembrava incomprensibile e brutto. E probabilmente lo è.
Dopo anni passati qui, si sono formate relazioni di conoscenza e di amicizia con tutti gli abitanti della zona. E tutti sono cacciatori. Qualcuno fa caccia di selezione. Qualcuno caccia fagiani e lepri. E qualcuno fa tutto questo più la caccia al cinghiale.
La caccia al cinghiale è un rito davvero poco comprensibile per chi non è cresciuto da queste parti.
Gruppi di 30, 40, 50 persone si ritrovano e si ammucchiano in un punto, sul crinale di una collina, con decine e decine di cani. Parte del gruppo, lanciati i cani li spinge verso il fondo perché stanino i cinghiali. Sul crinale opposto, in postazioni fisse (per ragioni di sicurezza) sta l’altra parte del gruppo che accoglie a fucilate i cinghiali stanati dai cani.
I cinghiali, oltre che dai cani, vengono spaventati e spinti, nelle direzioni attese, dagli uomini del primo gruppo che urlano e sparano botti.
Ora, se ci si immagina che un cinghiale stanato trotterelli pacifico e ignaro verso le bocche dei fucili e che tutti a sera tornino a casa felici e contenti, si è in errore.
Il cinghiale non ha nessuna voglia di morire, il cinghiale è spaventato e vuole vivere, impegna tutte le sue forze per difendersi e per campare. I cinghiali hanno quei dentoni che sporgono che sono dei fantastici Caterpillar per cercare cibo sottoterra ma anche delle straordinarie ed efficaci armi da difesa. La muta dei cani che si avventa sul cinghiale tutte le volte paga le conseguenze dello strenuo tentativo di sopravvivere del cinghiale. E più il cinghiale è grosso e più sono i cani che vengono feriti e molto spesso anche uccisi.
A fine caccia si fa la conta dei morti e dei feriti (senza contare i cinghiali naturalmente). E non si cela l’acredine nei confronti di “quel verro da 150 kg che mi ha ucciso due cani e ne ha feriti 10”.
Io vivo qui. Conosco di persona i cacciatori. Sono brave persone. Ma il contesto in cui sono cresciuta è distantissimo dal loro. Non provo simpatia per la caccia in generale, ma questo tipo di caccia decisamente non lo capisco.
C’è probabilmente una sete di violenza e di sangue che il rito della caccia al cinghiale in qualche modo placa e soddisfa. Un bisogno di brutalità che si attua in questo tipo di caccia di gruppo, in cui l’eccitazione di uno viene amplificata dai molti. Ma non potrebbe sopravvenire una sorta di evoluzione?
Anni fa il cinghiale autoctono è stato sopraffatto e ibridato con specie provenienti dall’est Europa, importate, immagino illegalmente, da cacciatori.
Il cinghiale autoctono era più piccolo e figliava una volta all’anno. Anche il cinghialone slavo figliava una volta all’anno, ma nelle sue regioni di provenienza. Qui ha trovato il clima decisamente più confortevole e si è messo a fare due cucciolate, numerosissime, due volte all’anno.
Gli agricoltori subiscono i danni di questi numeri eccessivi. Quando le squadre di cinghialisti vengono chiamate, fuori dal periodo della caccia al cinghiale, per arginare il numero degli animali che commette danno, dovrebbero uccidere ma si limitano a spaventarli. C’è un tacito accordo a non uccidere i cinghiali fuori stagione. Il perché non mi è chiaro. Un cacciatore occasionale che non era a conoscenza di questo patto silenzioso, partecipando a una battuta per allontanare un gruppo di cinghiali, ne ha ammazzato uno, così come avrebbe dovuto fare, ed è stato redarguito dai suoi compagni di squadra. Naturalmente ha deciso di non partecipare più a farloccate del genere e non è più stato chiamato.
E poi ci sono i lupi. I lupi cattivi, divoratori di pecore e di nonne. I lupi che ogni tanto hanno la disavventura di incappare in gruppi di cacciatori che approfittano dell’occasione per tirare il grilletto (noooo, non succede mai…).
Nella cacca dei lupi si trovano peli di cinghiale (di cinghiali piccoli naturalmente) e di altri selvatici. Il ritorno del lupo (ma che lo sto a dire a fare?) potrebbe essere una garanzia di equilibrio nella gestione naturale del sovrannumero di selvatici. Ma i lupi sono cattivi, pericolosi e dei competitori scaltri del cacciatore.
Che tristezza.
Certo se ci fossero dei rimborsi certi del bestiame ammazzato dai lupi, se il rimborso fosse dignitoso, se il rimborso fosse tempestivo, forse i pastori (che spesso sono anche cacciatori di cinghiali) sarebbero sicuramente dispiaciuti per la perdita dei capi, ma si sentirebbero rispettati da una legge che riconosce le loro perdite.
Così c’è questo mondo in guazzabuglio, di cinghiali giganti superprolifici, di lupi “cattivi” e di cani squartati.
Ora io, che sono naive e nordica e animalista e fondamentalista, ora io dico, ma dov’è finito il senno? Dove ce lo siamo perso?
E cambiare le leggi della caccia e imporre che la caccia al cinghiale sia compiuta al massimo da 10 cacciatori e dieci cani? Proporre una caccia di selezione aperta tutto l’anno sulle specie che a causa delle ibridazioni, o della mancanza di competitori naturali, sono in sovrannumero?
Mettere delle telecamere nei boschi (…lo so, questo è terribilmente naif..) per riprendere i cacciatori che per limitare i competitori (le volpi sono considerati animali nocivi…) buttano bocconi avvelenati? Conosco personalmente moltissime persone che hanno perso il proprio cane per un boccone avvelenato.
E’ un gran guazzabuglio.
E mettere ordine non sembra per nulla facile.
Per nulla facile, come recuperare il senno perduto…