Di solitudini e visioni ristrette

E’ vero che questo è il posto più bello del mondo, è vero anche che sono pronta a lasciarlo se fosse necessario.
E’ vero che in questo posto più bello del mondo si sta bene anche se i contatti col resto del mondo sono scarsi e, a volte, quando avvengono, sembrano stonati. Come se si fosse persa davvero l’abitudine all’interazione, al confronto.
Ed è vero che bene o male un giudizio si forma, anche se la visione da qui è così tremendamente piacevole e ristretta.
Così viaggio cauta, quando mi ricordo. Quando non mi ricordo sparo giudizi come se fossero postulati e schiaccio tutto e tutti come un panzer. Un panzer grasso grassissimo che valuta con una visione ristretta ristrettissima.
Ma… ora, proprio adesso, che cerco di essere consapevole di questa visione ristretta ristrettissima, sono presa dal panico.
Supponiamo che ognuno abbia delle ragioni o per lo meno delle giustificazioni, quanto vale il rispetto?

Quando passo butto un occhio per vedere se per caso è seduto fuori di casa. E’ rarissimo vederlo fuori.
Sono diversi anni che non sta bene. Ma ha una fibra straordinariamente resistente. Ogni botta lo concia un po’ peggio, ma non lo stende.
Ha bisogno di aiuto per tutto
E’ molto amato e molto accudito. Sua moglie ha degli occhi da incantatrice.
“Vieni a bere il caffé” mi urla. L’ho visto e mi sono fermata.
Nononono, sono stata a nord, non vengo, non vorrei proprio….
A fine giugno un ricovero d’urgenza in pronto soccorso. Una polmonite bilaterale. Non la prima. Non il virus.
L’incantatrice non può entrare per ragioni di sicurezza.
Dopo un giorno e mezzo in cui non riesce ad avere notizie, l’Incantatrice incanta e una dottoressa le concede di vederlo.
“Dammi un goccio d’acqua per piacere”
Sul comodino il pasto non consumato, nessuno lo ha aiutato a mangiare. Nessuno gli ha dato da bere.
Sulla schiena si sono formate delle piaghe, in un giorno e mezzo.
Lo hanno parcheggiato senza prendersi nessuna cura. Gli danno solo l’antibiotico.
L’Incantatrice ha gli occhi umidi mentre me lo racconta.
Mi dice che forse gran parte dei vecchietti che se ne sono andati di virus nei mesi scorsi avevano una gran sete e pasti non consumati sul comodino.

Non lo so, davvero, non lo so.

Ma sento il panzer che fa ruggire i motori e vorrebbe stendere tutto e tutti. E mi dico: stai attenta, la visione è ristretta ristrettissima.
Non puoi sapere quali sono le ragioni di chi non ha agito.
Ma se anche chi non ha agito avesse tutte le ragioni del mondo, perché sono sottodimensionati, perché non interrompono i turni, perché si è trattato di un errore, di una disposizione, di priorità, di non so cosa, quale valore ha il rispetto per un essere umano? Qual’è la misura oltre la quale non vale più la cura, non vale più il rispetto.
Quell’uomo sarò io, sarà tutti.
Se lui non vale, nessuno vale. E allora dovremmo preoccuparci molto.

Allora ci pensi tu?

Lei ha il sorriso più bello del mondo. Ho conosciuto solo un’altra persona con un sorriso così bello e mi sono sempre detta che probabilmente Afrodite avesse proprio lo stesso.
E’ un sorriso che è bellezza.
E davanti alla bellezza ci si sente più buoni.
A dire il vero, davanti a un sorriso così, ti aspetti che lei sia buona. Dolce come il suo sorriso. E in effetti lo è. E’ gentile, generosa, generosissima. Ma è buona il giusto. Ha dei limiti anche lei. Ci sono delle cose su cui è inscalfibile. Bellissimo sorriso non significa che il carattere non sia determinato.
Determinatissima.
Quindi con quel sorriso, che mi confonde e mi fa viaggiare sempre un po’ e mi stimola riflessioni sull’utilità della bellezza, con quel sorriso mi dice: Allora stasera ci pensi tu? Quando diventa buio vai a controllare che il mio pulcino sia al riparo?
E tu pensi: Maporcavacca, ma è un pulcino su cinquanta pulcini, se me ne dimentico, pace. E’ un pulcino, sono fragili i pulcini, perché devo assumermi questa responsabilità? che se gli succede qualcosa di indipendente dalle mie intenzioni, devo sentirmi in colpa?
Ma dici: ok…
E lei legge tutta la tua mente, anche se tu cerchi di schiaffare dei pensieri rassicuranti davanti alle tue perplessità profonde. Lei ti legge.
E dice: Bene, ci pensi tu.
Perentoria.
Porcavacca.
Lei è quella che prende i pulcini sbiroli, fa dei riti magici di attenzioni e vitamine, li svezza dentro al grembiule, li fa pigolare felici, mentre fa le sue faccende, scaldandoli col calore del suo corpo, li tiene con sé finché non si sono ripresi e poi li emancipa e li mette insieme a tutto il resto della pulcinaglia. Lei fa miracoli coi pulcini. Se la cerchi la trovi dove senti pigolare. Una pancia che pigola, soddisfatta. Perché i pulcini hanno tanti tipi di pigolii e quelli che lei si ficca nel grembiule, sulla pancia, pigolano di godimento e sollucchero.

E la giornata trascorre.
E tu vai a recuperare uno sciame, pianti una foresta di pali, trapianti un esercito di pomodori, fai millemila altre cose e alla fine vai a recuperare lo sciame quando è buio e lo porti nella sua postazione definitiva.
E puzzi di tutto, puzzi di te, puzzi del fumo dell’affumicatore, hai terra dappertutto.
E sogni di fare la doccia e di andare a letto.
E finalmente sei quasi pronta per fare la doccia quando ti viene in mente: IL PULCINO!!
E così ti rivesti e prendi la torcia e vai dal pulcino e lo traslochi al riparo, e, già che ci sei, anche tutti gli altri.

Perché la mattina dopo potrebbe essere irrimediabilmente tardi.

E perché quel sorriso cela grande terribilità…
E a me fa paura.
Tanta.

Le pratoline e quella signora

Difficilissimo parlare di quella signora, mentre parlare con lei è normale, quotidiano.
Quella signora non può essere riassunta: nessuno può essere riassunto, lei meno ancora perché chi l’ha mai veramente capita? Parlava un’altra lingua, sapeva cose, stava cento passi davanti a noi e noi eravamo convinti che stesse sempre indietro e gridavamo stizziti: allora, ti muovi? Adesso è facile parlarle perché la costringiamo al nostro linguaggio, mentre allora il suo era così sconvolgente e irritante.
Non abbiamo mai capito niente. Adesso qualcuno di noi lo sa. Le abbiamo reso la vita un inferno, io per lo meno di sicuro. E l’abbiamo amata, tantissimo. E l’amiamo tantissimo. E ci manca in maniera struggente. Ci manca così tanto che quando piangiamo per la disperazione ci manca il fiato.
Peccato davvero sprecare irrimediabilmente occasioni di amore così. Per ignoranza, arroganza, stupidità.
Davvero non è bello accorgersi di essere ignoranti, stupidi e arroganti e non poter più fare niente.
Però c’è questa cosa, a parte i soliloqui quotidiani che non placano la fame e non spengono l’angoscia, c’è questa cosa che la rende presente e vittoriosa, anche adesso, anche adesso che sappiamo quanto siamo stati stupidi, sicuramente quanto sono stata stupida, senza rinunciare ad un’occasione per non esserlo.
Ci sono le pratoline.
Ci sono le pratoline che si allargano ogni anno un po’.
Le pratoline non c’erano, non ce n’era neppure una. E lei ha portato una bustina di semi e io arrabbiata, brutta, cattiva, insofferente li ho seminati.
E adesso nessuno le ferma più.
Si sono sparse a macchia d’olio in circa dieci anni, vanno in ogni direzione. Stanno risalendo verso Preggio. Sarò curiosa di vedere in quanto tempo ci arrivano.
Quindi è così bello.
E così doloroso.
Non sai quanto vorrei avere un minuto per dirtelo, mamma.

Questa assenza

Da qualche parte nel bosco, da qualche parte dove proprio non sono riuscita a trovarla. Forse sotto a dei cespugli, in mezzo all’erba.
E quando l’ho cercata sopra e sotto e poi sono tornata rassegnata verso casa e ho visto il suo muso spuntare dall’erba, proprio sul ciglio della strada? Le ero passata di fianco almeno tre volte senza vederla.
Quindi, adesso che ha proprio deciso di non farsi trovare, non la trovo, non c’è verso di trovarla.
Per qualche giorno è riapparsa, al mattino, sdraiata al sole nel prato che il giorno prima avevo perlustrato palmo a palmo.
E così le ho dato le medicine. E l’ho portata dalla veterinaria. E instabile sulle gambe, sentendosi minacciata dal guinzaglio è venuta a casa, lei davanti, io dietro, minacciosa (non avevo intenzione di essere minacciosa,,,), il guinzaglio penzolante dalle mie mani.
Allora, basta, adesso la teniamo legata. Almeno per qualche giorno, per vedere se fanno effetto le medicine.
Siiiiii, legata lei…. Lei che quando le si metteva il guinzaglio si trasformava in un tappeto di quaranta chili spiaccicato per terra, inamovibile, cocciuta. Ha sempre vinto lei. Perlomeno, ha perso veramente pochissime volte. Una volta o due mi ha seguita al guinzaglio dalla veterinaria. Incredibile…
Ma allora la teniamo legata.
La Fata Turchina la spia dalla finestra.
E’ qualche giorno che sta male. E’ stata male all’improvviso. Oppure io me ne sono accorta all’improvviso, concentrata com’ero sugli altri due che sono così tanto più eclatanti?
Male, malissimo. Pelle e ossa. All’improvviso.
Legata, al sole, diritta sulle quattro zampe. La Fata Turchina alla finestra che la controlla. E poi si gira, e quando si rigira c’è la corda, il guinzaglio, la pettorina attorcigliata. La fuga perfetta. E chi lo tiene quello spirito libero? Non è cane che si possa tenere legato. Mi viene da ridere. Sono spossata ma rido. La ammiro un mucchio. Lei sa quello che vuole. E io non so cosa voglio per lei. Quindi ha ragione lei.
E il giorno dopo non la trovo sdraiata al sole. Non la trovo al mattino e neanche al pomeriggio. Non la trovo neanche il giorno dopo ancora e quello dopo ancora. E allora non la cerco più. Mi dispiace immensamente. Mi viene il dubbio di non avere mai capito niente. O forse è così che succede. Chi lo sa? Non ha voglia, sta male e vuole stare da sola con se stessa. E’ l’istinto. Chi lo sa?
Di certo io non me l’aspettavo che questi due fratelli se ne andassero a distanza di dieci giorni l’uno dall’altra.
E questa assenza all’improvviso, senza sapere, da qualche parte nel bosco….

Contraddizioni (e porcavacca)

Sud. In partenza, ritorno a casa. Ho il serbatoio vuoto.

“Bancomat e carte di credito non funzionante”. Mannaggia. Ci sono tre distributori di carburante uno in fila all’altro. Vado al secondo. Infilo la carta. “Carta non accettata”. Mannaggia. Ne infilo un’altra. “Carta non accettata”. Eh, ma allora… Chiedo all’omino nell’ufficio. Mi dice di chiedere al tipo che c’è fuori. Mi dice di spostare la macchina dal self al servito. Sì, ma cambia l’importo! È così.

Risalgo in macchina e vado dal terzo. Mannaggia mannaggia. Ma non sono quella che deve imparare a gestire la propria hybris? Sono all’inizio dell’apprendimento. Una principiante seriale. Infilo la carta, sempre alla pompa del self service. “Carta non accettata”. Eh, maporcavacca, ma come faccio a fare rifornimento in questo paese, porcavacca. L’omino di questo distributore è il terzo della fila ed è gentile. Faccia rifornimento e venga dentro a pagare. Eseguo. Tengo a freno la hybris, mannaggiaalei, e gli chiedo come mai ci sono tutti questi problemi a pagare con la carta al self. “Perché costa. Io con questa transazione non ci guadagno nulla”. Lui è gentile e io sarò gentile. Maporcavacca ma come fanno nelle altre regioni? Vi fanno pagare di più il carburante? Vi chiedono una commissione maggiore per la transazione delle carte? Non lo chiedo, non me la sento di iniziare nessuna discussione. Dentro ribollo. Sento la distanza. Sento una distanza snob e infastidita. Questo è anche il posto in cui una giornata lavorativa di otto ore in campagna viene retribuita 35 euro, significa poco più di 4 ore all’ora nette. Per non parlare delle giornate registrate e di quelle pagate in nero per avere la disoccupazione. È una storia che ho già sentito. Prendere o lasciare. Questa è la zona nella quale esistono i caporali (pestelicolga) che in una situazione che è già assurda contribuiscono a renderla peggiore. Ma questa è anche la zona nella quale la generosità e l’accoglienza sono attitudini diffuse e spontanee. Il proprio tempo, la propria disponibilità, il proprio cibo, la propria casa vengono offerti con una naturalezza sconosciuta in altre regioni. Sono terribilmente a disagio. Mi chiedo cosa ci vuole a combinare questo straordinario modo di accogliere l’ospite e il rispetto delle regole. Cosa ci vuole? Perché no? Che differenza c’è fra un ospite e se stessi? Se si riesce ad essere corretti con un ospite, perché non esserlo con un vicino di casa? Il controllo della hybris è una conquista lontana. Al momento cerco di non formulare pensieri. Perché mi verrebbero molto male.

PS: caso mai si propagasse la peste fra i caporali in Puglia, venitemi pure a prendere. Ne risponderò