Quel bradipo del mio avo

Così, quando all’improvviso ti cambia l’orizzonte.
Ma non un orizzonte qualunque.
L’orizzonte che hai sotto al naso.
Ti giri un attimo e poi ti rigiri perché ti è parso che ci sia qualcosa di strano. Come con la settimana enigmistica, confronti quello che vedi con quello che ti aspetti di vedere.
Ma che non ti aspetti di non vedere.
Non c’è più.
Centova, i ruderi di Centova che hanno fatto da soggetto a un milione di foto, ai quadri belli della Luisa, non ci sono più.
Non è di mia pertinenza quel luogo, non è mio, non lo posseggo, ma fa parte di me.
E allora devo riaggiustare il quotidiano. Devo riadattare il mio sguardo che tutte le volte che gira di lì, pensa di essersi sbagliato.
Com’è quella cosa? Quella cosa di cui ti parlano quando ti dicono che sei parte della squadra di un’azienda. Fa così poco parte di me che non mi ricordo neanche come si chiama. Capacità di adattamento, di reagire ai cambiamenti? Ha un nome più appropriato, ma proprio non mi viene.
Quella cosa lì in me, deriva da qualche antenato bradipo.
Mi adatto, mi adatto.
Ma con i miei tempi…

Allora ci pensi tu?

Lei ha il sorriso più bello del mondo. Ho conosciuto solo un’altra persona con un sorriso così bello e mi sono sempre detta che probabilmente Afrodite avesse proprio lo stesso.
E’ un sorriso che è bellezza.
E davanti alla bellezza ci si sente più buoni.
A dire il vero, davanti a un sorriso così, ti aspetti che lei sia buona. Dolce come il suo sorriso. E in effetti lo è. E’ gentile, generosa, generosissima. Ma è buona il giusto. Ha dei limiti anche lei. Ci sono delle cose su cui è inscalfibile. Bellissimo sorriso non significa che il carattere non sia determinato.
Determinatissima.
Quindi con quel sorriso, che mi confonde e mi fa viaggiare sempre un po’ e mi stimola riflessioni sull’utilità della bellezza, con quel sorriso mi dice: Allora stasera ci pensi tu? Quando diventa buio vai a controllare che il mio pulcino sia al riparo?
E tu pensi: Maporcavacca, ma è un pulcino su cinquanta pulcini, se me ne dimentico, pace. E’ un pulcino, sono fragili i pulcini, perché devo assumermi questa responsabilità? che se gli succede qualcosa di indipendente dalle mie intenzioni, devo sentirmi in colpa?
Ma dici: ok…
E lei legge tutta la tua mente, anche se tu cerchi di schiaffare dei pensieri rassicuranti davanti alle tue perplessità profonde. Lei ti legge.
E dice: Bene, ci pensi tu.
Perentoria.
Porcavacca.
Lei è quella che prende i pulcini sbiroli, fa dei riti magici di attenzioni e vitamine, li svezza dentro al grembiule, li fa pigolare felici, mentre fa le sue faccende, scaldandoli col calore del suo corpo, li tiene con sé finché non si sono ripresi e poi li emancipa e li mette insieme a tutto il resto della pulcinaglia. Lei fa miracoli coi pulcini. Se la cerchi la trovi dove senti pigolare. Una pancia che pigola, soddisfatta. Perché i pulcini hanno tanti tipi di pigolii e quelli che lei si ficca nel grembiule, sulla pancia, pigolano di godimento e sollucchero.

E la giornata trascorre.
E tu vai a recuperare uno sciame, pianti una foresta di pali, trapianti un esercito di pomodori, fai millemila altre cose e alla fine vai a recuperare lo sciame quando è buio e lo porti nella sua postazione definitiva.
E puzzi di tutto, puzzi di te, puzzi del fumo dell’affumicatore, hai terra dappertutto.
E sogni di fare la doccia e di andare a letto.
E finalmente sei quasi pronta per fare la doccia quando ti viene in mente: IL PULCINO!!
E così ti rivesti e prendi la torcia e vai dal pulcino e lo traslochi al riparo, e, già che ci sei, anche tutti gli altri.

Perché la mattina dopo potrebbe essere irrimediabilmente tardi.

E perché quel sorriso cela grande terribilità…
E a me fa paura.
Tanta.

Ci sono un marocchino, un’albanese e un maliano….

Ci sono un marocchino, un albanese e un maliano seduti alla nostra tavola che mangiano la pastasciutta buonissima che ha preparato Messaouda.
A capotavola, sottosopra per un potente raffreddore, c’è la Fata Turchina.
Ci siamo anche io e Messaouda per altro.
Siamo in pausa pranzo.
E’ iniziata finalmente la raccolta delle olive, decisamente più tardi di quanto avremmo voluto, ma la pioggia, l’uva, i tempi della campagna, le quarte figlie che nascono così tra l’uva e le olive e le altre figlie che hanno bisogno del babbo mentre la mamma partorisce e la festa della castagna e… io volevo, te lo giuro… e le cavallette…
Insomma finalmente è iniziata.
E quest’anno oltre ad Abderrazak e a Shaban, c’è Salikou giovane giovanissimo maliano che ha appena ottenuto l’asilo come rifugiato e il permesso di soggiorno.
Noi siamo il suo primo lavoro in Italia. E non so perché ma la cosa mi fa piacere. Non ce n’è ragione, ma mi sento in dovere di fargli una buona impressione del suo primo lavoro in Italia.
Certo la raccolta delle olive non è forse l’attività più gratificante, ma è quello che facciamo e quello che possiamo offrire a questo giovanotto sorridente e gentile.
Il marocchino, l’albanese e il maliano hanno anche qualcosa d’altro che condividono oltre a una pastasciutta e la raccolta delle olive.
Tutti e tre hanno fatto un viaggio per mare. Un viaggio perché per ragioni diverse tutti e tre non potevano più sperare di avere una vita dignitosa nel posto in cui abitavano.
Il marocchino aveva una giovanissima e bellissima moglie ed era già padre della prima bambina della serie (a lui piace fare figlie femmine e farne tante tantissime. Sua moglie è un po’ che dice: ok, ma adesso basta. Ma dopo un po’ partorisce una bambina bellissima, come lei, e poi dice: ok, ma adesso basta…). Lì dov’era, coi suoi baffoni, giovanissimo a fare il plombier non riusciva a garantire una vita alla sua famiglie e così le ha sistemate con la sua mamma ed è partito all’avventura, clandestino sul gommone ed è arrivato in Spagna e poi in Francia e in Italia, ha lavorato nelle vigne, ha fatto il pastore, il muratore, tutto quello che poteva. Ed è vissuto sottotono, comportandosi benissimo per non dare nell’occhio, per non essere notato, per non essere rispedito a casa e dover ricominciare daccapo. Ha avuto cattivi consiglieri che hanno approfittato della sua situazione di necessità e della sua fiducia. Dopo sette anni di questa vita, senza aver mai visto nel frattempo né la moglie né la sua bambina, ha incontrato la Fata Turchina che ha detto: sei un bravo ragazzo, vorresti lavorare per noi? E siccome non era possibile fare magie, la Fata Turchina ha percorso con determinazione e senza mai scoraggiarsi l’intricato percorso per dotarlo di un suo proprio e vero permesso di soggiorno. E così quel ragazzo marocchino ha potuto finalmente rivedere e portare con sé in Italia la sua famiglia. E sono dieci anni che lavora, molto stimato, per la Fata Turchina.
L’albanese ha preso tanti barconi e ha dovuto dimostrare di essere più furbo dei lestofanti che facevano finta di arrivare in Italia e invece lo volevano risbarcare in Albania e di quelli che facevano finta di non poter rispettare i patti sugli approdi. Lui è calmo, sorridente, me lo vedo sul gommone che senza alzare la voce esige di essere condotto dove era stato pattuito ed alle condizioni pattuite. Ma questo è successo tanti anni fa. Sono tanti anni che lavora in Italia. E’ un eccellente potatore ed in generale un uomo molto affidabile.
Il maliano è giovanissimo, ma era ancora più giovanissimo quattro o cinque anni fa quando una bomba gli ha ucciso la famiglia e lui ha cominciato a camminare e ha camminato per anni fino ad arrivare in Libia dove si è imbarcato in una di quelle bagnarole che spessissimo vediamo in televisione, dopo aver visto e vissuto cose che non ci possiamo neanche immaginare. E’ proprio uno di quelli che ci sembrano tutti uguali e che ci sembrano tanti. Ma invece è una creatura in carne ed ossa, con la sua storia, che fa paura conoscere. Nessuno, nessuno può essere considerato uno dei tanti.
Oggi a tavola l’italiano era la lingua franca, declinata e giocata con moltissime e personalissime sfumature, ma si è dimostrata un mezzo affidabile per comunicare, scambiarsi istruzioni sul lavoro e anche per ridere un po’.
Domattina un marocchino, un albanese e un maliano saranno alla loro seconda giornata di lavoro insieme.
Questi destini, trasportati da barche, che si incontrano per un attimo nel regno della Fata Turchina mi fanno un effetto che non so dire. Li interrogherei per ore.
Ma per fortuna non lo faccio.
E le cose sembrano andare piuttosto bene.

PS: giusto per chiarezza, per essere la Fata Turchina non è necessario portare un vestitino azzurro e il cappello a punta, si può anche avere pochi capelli e scegliere di portare barba e baffi. Basta saper fare le magie giuste al momento giusto…

PS2: anche Messaouda è marocchina, ma lei è arrivata con l’aereo. Ed è tutta un’altra storia…

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