Contraddizioni (e porcavacca)

Sud. In partenza, ritorno a casa. Ho il serbatoio vuoto.

“Bancomat e carte di credito non funzionante”. Mannaggia. Ci sono tre distributori di carburante uno in fila all’altro. Vado al secondo. Infilo la carta. “Carta non accettata”. Mannaggia. Ne infilo un’altra. “Carta non accettata”. Eh, ma allora… Chiedo all’omino nell’ufficio. Mi dice di chiedere al tipo che c’è fuori. Mi dice di spostare la macchina dal self al servito. Sì, ma cambia l’importo! È così.

Risalgo in macchina e vado dal terzo. Mannaggia mannaggia. Ma non sono quella che deve imparare a gestire la propria hybris? Sono all’inizio dell’apprendimento. Una principiante seriale. Infilo la carta, sempre alla pompa del self service. “Carta non accettata”. Eh, maporcavacca, ma come faccio a fare rifornimento in questo paese, porcavacca. L’omino di questo distributore è il terzo della fila ed è gentile. Faccia rifornimento e venga dentro a pagare. Eseguo. Tengo a freno la hybris, mannaggiaalei, e gli chiedo come mai ci sono tutti questi problemi a pagare con la carta al self. “Perché costa. Io con questa transazione non ci guadagno nulla”. Lui è gentile e io sarò gentile. Maporcavacca ma come fanno nelle altre regioni? Vi fanno pagare di più il carburante? Vi chiedono una commissione maggiore per la transazione delle carte? Non lo chiedo, non me la sento di iniziare nessuna discussione. Dentro ribollo. Sento la distanza. Sento una distanza snob e infastidita. Questo è anche il posto in cui una giornata lavorativa di otto ore in campagna viene retribuita 35 euro, significa poco più di 4 ore all’ora nette. Per non parlare delle giornate registrate e di quelle pagate in nero per avere la disoccupazione. È una storia che ho già sentito. Prendere o lasciare. Questa è la zona nella quale esistono i caporali (pestelicolga) che in una situazione che è già assurda contribuiscono a renderla peggiore. Ma questa è anche la zona nella quale la generosità e l’accoglienza sono attitudini diffuse e spontanee. Il proprio tempo, la propria disponibilità, il proprio cibo, la propria casa vengono offerti con una naturalezza sconosciuta in altre regioni. Sono terribilmente a disagio. Mi chiedo cosa ci vuole a combinare questo straordinario modo di accogliere l’ospite e il rispetto delle regole. Cosa ci vuole? Perché no? Che differenza c’è fra un ospite e se stessi? Se si riesce ad essere corretti con un ospite, perché non esserlo con un vicino di casa? Il controllo della hybris è una conquista lontana. Al momento cerco di non formulare pensieri. Perché mi verrebbero molto male.

PS: caso mai si propagasse la peste fra i caporali in Puglia, venitemi pure a prendere. Ne risponderò

Nnaggiammè

Fino a un minuto prima il sentiero c’era e quando mi sono accorta che non c’era più, non c’era più davvero. E allora ho guardato dove calava il sole e ho deciso quale doveva essere la mia direzione. E ho immaginato di vedere percorsi che non c’erano e sono andata avanti. E ho pensato a quella ragazza, delle tre che ho incontrato quando ancora c’era la strada che mi ha chiesto: ma dove vai di qui? E io ho detto: giro a destra e vado avanti finché non trovo la strada principale. E lei mi ha detto: non puoi. E io che sono una vera fifona le ho chiesto: perché? Perché è brutta la strada o perché è pericolosa? E lei ha detto: perché ci sono i sassi. E io da vera sbruffona le ho riposto: ahhhh… Ma figurati! Queste ruote sono favolose. Quando mi sono girata ho sentito il loro sguardo perplesso sul mio collo per un po’. Sassi… Pfui….

In effetti i sassi non sono stati un problema, anche perché la bici l’ho spinta a mano. Il problema era il bush tutto attorno in cui io insistevo a credere che, sì… di qui qualcuno è passato… Probabilmente delle capre….

Le ruote sono sane ma quando alla fine ho trovato una cosa che sembrava un sentiero, ho dovuto togliere rami e foglie dai raggi e la catena era giù. Chevvuoichessia…

Vuochessia che non stava su e così me la sono fatta tutta a piedi.

Nnaggiammè

Fifa vera

Sono stata lì con il naso per aria a guardare le foglie delle palme che si muovevano e a chiedermi se fosse solo il vento o qualche animale. Era il vento. E allora mi sono mossa verso la piscina. Ho girato l’angolo e da una finestra ho visto due manine che si sporgevano a strizzare uno straccio in un secchio. Ho salutato la ragazza delle pulizie e ho fatto un passo in avanti guardando indietro e non ho visto il gradino. Ho barcollato e sussultato e nello stesso momento un serpentello verde smeraldo forse caduto da un ramo sopra di me, forse solo in transito ha visto la mia massa vacillante e se l’è data a gambe tutto di traverso e quasi non toccando terra dalla paura. E comunque non era un mamba verde

Probabilmente sta raccontando ai suoi di come ha scampato per un soffio di essere schiacciato da una montagna di carne bianchiccia che incombeva traballante su di lui

Io e me

Ti ho cercata. Giravo lo sguardo intorno, ero sicura di trovarti.
Non sapevo che non avrei percorso questo sentiero per così tanto tempo. Non sapevo che lo avrei percorso oggi, ora.

Provo uno struggimento profondo.

Ti cerco in ogni sasso, nel tronco di un albero. Ma come avresti potuto immaginare, come avresti potuto immaginare che avresti dovuto prestare attenzione al sentiero, ai sassi, agli alberi, alle scorciatoie in salita, in modo che io ti potessi trovare? Sei passata di qui, forse felice di essere qui, forse senza badare a nulla, pensando ad altro, perché questo qui è un qui scontato, normale, familiare. E così so che ci sei, ma le tue tracce sono poco visibili. So che ci sei.
E quando ti incontro mi sembri ancora più bella. Ti vedo distintamente nel mio ricordo e sei bella, piena di energia. Sei stupita. Non capisci chi sono. Non capisci perché ti conosco. Non capisci questo amore grande che provo per te che hai vent’anni e che non sai.
E provo a raccontarti.
E so che non sono chi immaginavi saresti stata. Lo so. Lo so.
Ma sono quella.
E ti racconto cosa sceglierai, a volte seguendo passioni, a volte per non ferire, a volte senza ascoltare la tua voce, a volte (spesso) sbagliando.
Non oso parlarti dei sensi di colpa. Sei già abbastanza stupita così.
Cerco di convincerti che non è come immagini, anche se tu sei così convinta che sarà diverso da come ti racconto. Sei invincibile e potente, perché dovresti credere a qualcosa che non coincide coi tuoi progetti?

No, niente figli. Ma forse sei nella fase in cui sei convinta che non potrebbe essere altrimenti. Niente figli.
Cerco di parlarti con entusiasmo, cerco di rompere la tua diffidenza. Sei dura. Sei di coccio. Ma ti amo tantissimo così come sei.
E ti amo tantissimo anche così come sono, ma questo proprio non lo riesci a capire ora.
Non importa.
Se tu sapessi quanto sono felice di averti incontrata.
Adesso torno indietro e ti lascio in pace. Passerà lo stupore. Farai la tua vita.
Dimenticherai tutto. Che fortuna.
Io sono così felice che tu fossi lì.
Torno dalla Fata Turchina, dalle api, da un mondo in cui le regole non sono le tue. Quelle regole che vorresti eludere ma che strutturano la tua vita.
Grazie di essere stata lì.

Ci rivedremo?

Si comincia

“Alle 7:30 domattina.

Arriva il camion.

Devi fare l’inventario”

Prego?

“Domattina alle 7:30 arriva il camion e devi essere lì per fare l’inventario”

Non capisco mai se il Babau scherza o fa sul serio.

Questa volta fa sul serio.

Mannaggia.

Il Babau è stato veramente prezioso, mi ha dato le istruzioni su come avrei dovuto procedere: “Chiedi un preventivo, dettagliato, con anche il numero dei chiodi che servono. Lo vediamo e lo discutiamo”

Così mando un messaggio alla direttrice: sono arrivata, ho raccolto dei soldi, dovrebbero bastare per il tetto, ci incontriamo domani con il costruttore?

Mi benedice e mi da un appuntamento per l’indomani alle 9:00.

Friggo, sono agitata.

Il Babau e la Fata Turchina vengono con me per fare foto e analizzare preventivi.

La stanza è affollata, ci sono genitori, bambini minuscoli, libri, insegnanti che confabulano. La direttrice ci inserisce fra un genitore e l’altro. Ci presenta il preventivo. Al Babau sembra sostenibile. Io farfuglio qualcosa riguardo al prossimo progetto: un racconto per classe, illustrazioni, amicizia, pace, rispetto e poi mi ingarbuglio in un qualcosa che farei fatica anche a presentare in italiano, l’importanza dell’istruzione per la formazione del senso critico. Macchecavolo!! Mi sta a cuore da morire ma come trasformarlo in racconto e disegno.

Lei dice di aver capito e mi dice che possono venir rappresentati gli effetti di una buona e una cattiva istruzione con dei genitori di successo e dei genitori poveracci…. Ehm… No, non intendevo quello. Ma mi ingarbuglio ancora di più.

La lasciamo lavorare. Il Babau contratta col costruttore: noi acquistiamo il materiale, tu fai il lavoro. Ok.

Si comincia. Non immaginavo che i tempi fossero così rapidi. Appena usciti dalla scuola il Babau fa un giro per avere dei prezzi e confrontare il preventivo. Scendiamo e saliamo dalla macchina. Fa telefonate. Si fa mandare offerte.

E così a sera si arriva alla dichiarazione fatale: “Tutto a posto. Il camion sarà alla scuola domattina e tu dovrai essere lì a controllare il materiale”

Ohibò…

Allora si comincia davvero…