snake farm

Tornando a casa da scuola ci passo davanti tutti i giorni.

Da giorni mi dicevo: voglio fermarmi e visitarla. Ma spesso le cose più semplici mi creano turbamento.

Ieri mi sono fermata. Mentre arrivavo all’ufficetto dell’ingresso mi è venuto incontro un ragazzo in divisa con una maschera da snorkeling sulla fronte.

Si è presentato e mi ha comunicato orari e costi. Ho preso appuntamento per oggi, perché fermarmi a chiedere e anche visitare la snake farm era quasi esagerare con lo spirito d’iniziativa…

E così oggi mi sono fermata. Mi è venuto incontro un giovane in divisa dicendomi: bene ti stavo aspettando. Mentre mi guardavo intorno alla ricerca del tizio con cui avevo parlato ieri, ho capito che il tizio era lui.

No, fisionomista no.

La snake farm è piccolissima. Ci sono dei recinti in pietra per i rettili che non possono scappare. Delle tartarughe di terra bellissime, la più vecchia delle quali di sessant’anni. Questa

E poi un paio di iguanone, una di terra e una d’acqua.

Questa credo sia quella d’acqua

E un piccolo camaleonte, che abbiamo fatto fatica ad individuare nella gabbia

E un micro coccodrillo che nutrono a zanzare (?). Chissà cosa ho capito.

E poi… gasp…. i serpenti

Il centro è nato da un’iniziativa personale di una coppia che ha cominciato a raccogliere serpenti per fare dei sieri antiveleno. E poi grazie a sovvenzioni, per lo più private, e alla competenza di ricercatori internazionali, è diventato un punto di riferimento per il Kenya.

Vengono chiamati da ogni dove per catturare quei serpenti che, mi immagino, scampano all’essere uccisi perché sono in punti poco accessibili.

Mentre me li mostrava mi diceva: ecco questo lo abbiamo catturato qui vicino, questo in quell’hotel a pochi chilometri da qui, questo nel bush qui dietro. E anche al Lonno Lodge siamo venuti.

Ahpperò, pensavo io.

Ci sono dei boa, il più ungo dei quali è lungo nove metri (acciambellato ne misurava uno), delle vipere larghe 15 centimetri, dei cobra che sputano e dei cobra che mordono, i mamba, quello verde e quello nero, chiamato anche “settepassi” (chissà perché?). E poi uno carinissimo con un corpo affusolato e beigiolino (come si scrive beige-olino?), comunque di un colore chiaro e una testa allungata, apparentemente sproporzionata di un color azzurro acqua. Bene, quest’ultimo è mortale e per il suo veleno non esiste antidoto.

Ma il giovanotto insisteva nel dire che un serpente attacca solo per difesa (tranne nel caso in cui ci si ritrovi in veste di pollo).

Gli occhiali subacquei del giorno prima servivano per movimentare dei cobra sputatori.

Al temine della visita mi ha detto che, dove abitava (nell’interno? a Nairobi?), aveva studiato francese, ma, arrivato a Watamu si è reso conto che l’italiano gli sarebbe stato decisamente più utile. E così vorrebbe un vero dizionario di italiano to improve. E anche dei libri in italiano semplice, magari quelli destinati ai bambini.

E poi mi ha detto che vuole aprire una sua attività, ma che gli mancano finanziamenti…

Per il miglioramento del suo italiano mi sono già attivata. Non mi attiverò per sostenere il suo business. Ogni persona da queste parti ha delle buone, ottime ragioni per chiedere sovvenzioni agli interlocutori. Ma bisogna operare delle scelte. Difficile scegliere, ma impossibile fare altrimenti.

Impossibile rimanere distaccati

Almeno, ad oggi non sono ancora riuscita a riconoscere in me il giusto distacco.

Mah…

 

passeggiando

Il Bluno mi ha invitata a fare una passeggiata con lui dove la marea si è ritirata.

Ogni giorno fa una passeggiatina alla ricerca di tesori. E così siamo andati.

Ci sono granchi di tutte le misure e colori, paguri e conchiglie.

Non ci siamo allontanati da sotto agli scogli perché il sole era a picco.

E in un angoletto sotto a uno scoglio che per almeno 12 ore è sommerso dall’acqua, c’era un’impavida e radicata piccola mangrovia. Sembra proprio aver deciso che quel posto le va bene, perché sta mettendo la seconda foglia….

investimento per un domani

La scuola che frequento ospita diversi giovani keniani che stanno studiando italiano.

Il loro impegno nello studio è decisamente molto più rigoroso del mio con lo swahili.

Mi fanno delle domande dettagliatissime di grammatica che mi lasciano stupefatta e muta.

Ieri mi hanno chiesto perché alcuni verbi che finiscono in -ire si coniugano in -isco e altri in -o.

Gasp!

Il Bluno mi è venuto in soccorso, le mie ricerche non avevano dato frutti.

Oggi mi hanno chiesto le differenze fra pronomi personali diretti e indiretti, quando si usa “me” e quando “mi”.

Ho tentato di spiegarlo parlando di complementi, ho insistito nel tentativo di scavare nella mia memoria (che era del tutto sparita in quel momento) come cavolo si chiamasse il complemento che risponde alla domanda “a chi?”, ho fatto degli scarabocchi disordinati alla lavagna, parole che si sovrapponevano con altre che avevo già scritto, ho balbettato. Ho confuso loro le idee.

Ma io non sono quella che ama la grammatica italiana? Non sono quella che crede di aver studiato italiano?

Ma allora dove mi sono smarrita?

Ho chiesto loro perché studiano italiano. Mi hanno risposto che Watamu è pieno di italiani e che lo studiano per comunicare.

Per comunicare.

Da cosa nasce cosa.

Il mio mwalimu ha la consapevolezza che, nonostante la sua proprietà di linguaggio, non verrà mai in Italia. E’ troppo costoso. Suo fratello ogni tre mesi invece vola in Italia. Come mai? Ha una fidanzata italiana. Il mwalimu dice: ma perché dovrei avere il desiderio di andare via da questo posto dove c’è sempre il sole?

Buona fortuna Mwalimu, che il tuo impegno ottenga un giusto compenso.

Imparare l’italiano è un investimento sul futuro. Può fruttare oppure no, ma l’impegno è massimo.

 

e uno

Non riesco a fotografarli sia perché l’obiettivo della camera del telefonino è sporco e non riesco a pulirlo, sia perché sono velocissimi. Polli gambelunghe, proprio polli keniani adatti alla corsa.

Questo è un pollo, un gallo, che abita vicino alla scuola

inventario

Ho capito che per arrivare a scuola devo pedalare per 25 minuti. Cercherò di regolarmi per non arrivare inutilmente trafelata e in un bagno di sudore con un quarto d’ora di anticipo, innervosendo il mio mwalimu che vuole avere una pausa di gioco sul computer fino all’ora stabilita.

Lungo il tragitto incontro: tre bambini scalzi con la divisa della scuola, camicetta arancione e pantaloni o gonna blu, che vanno a lezione. Il più piccolo dei tre è piccolissimo, minuscolo. Andranno alla materna? Da soli?

Qualche giovane, giovanissima donna con il pancione. Delle bambine di fatto. Quanti anni avranno? Dieci, undici, al massimo tredici. Cosa significa? Significa che i tempi della vita sono diversi? Significa che lo spazio dell’infanzia deve migliorare? E io cosa posso fare?

Delle donne avviluppate nei parei con in testa cesti di mango, legna, acqua e spesso (quasi sempre) con degli infanti legati dietro la schiena.

Un signore magrissimo seduto sotto un albero che quando passo mi manda un bacio con la mano. Sono passata con la bicicletta mentre aveva lo sguardo abbassato. Non mi ha vista. Stava disegnando. Fa degli strani disegni colorati astratti. Mi fermerò per parlare con lui? Vorrà vendermi qualche disegno?

Una signora anziana appoggiata ad un bastone corto con la schiena tutta storta, che cammina vestita di parei colorati. Dovrei dirle Shika moo? E’ il saluto che si rivolge alle persone rispettabili, alla madre e al padre.

Un’altra signora un po’ meno anziana con una maglietta smunta dietro alla quale pendono due seni appoggiati allo sbalzo della pareo avvolto intorno all’ombelico.

Dei giovinastri stesi sulle loro motociclette all’ombra, occhiali da sole. Urlano Jambo!

Dei bambini minuscoli vestiti di abiti sbrindellati che corrono a piedi nudi dalle case di fango urlando nella mia direzione: Ciaoooo, Ciaoooo, Ciao bella!

Ciao bella? Ma da dove gli viene? Quale informazione è collegata al gridare Ciao bella? Soldi? Caramelle? Semplice attenzione?

Voglio capire.