Tetto fatto

Tetto fatto

Così il tetto è fatto.
E, ora che è fatto, è sembrato quasi facile.
Ma prima e durante non lo è stato affatto.
Non mi è sembrato facile raccogliere la cifra stimata. Non mi è sembrato facile non perdere il denaro lungo il tragitto verso il Kenya. Non mi è sembrato facile leggere il preventivo che mi ha dato la direttrice, non mi è sembrato facile capire come interpretarlo. Certo, ci sono stati il Babau e la Donna Ubiqua che mi hanno fatto scivolare su queste incomprensioni provvedendo a chiedere preventivi, confrontare, stimare, ordinare. Non avrei ancora cominciato se non fossero intervenuti loro. Dopo il loro intervento mi è sembrato quasi normale viaggiare sopra ad un tuk tuk per portare alla scuola il cemento, una nuvola di polvere di cemento ad ogni scossone lungo la strada dissestata e l’autista del tuk tuk che dopo ogni scarico pulisce i sedili con uno straccio umido prima che io mi risieda, cementandomi le chiappe sul sedile. A quel punto è stato già quasi facile.

Ma la cosa che mi è sembrata veramente difficile è stata officiare sola soletta con la direttrice e una manciata di insegnanti all’ombra del tetto nuovo (già perché adesso sopra l’aula non c’è più il cielo) ad una mini cerimonia fatta in mio onore nella quale una ragazzina, Elena (si scrive Elena, si pronuncia Elìna, mi dice la direttrice), mi ha recitato a nome dei suoi compagni l’apprezzamento per il lavoro che è stato fatto. Imbarazzo massimo. E’ andata così. Stavo confabulando col carpentiere dopo averlo pagato, mi aveva appena mostrato i suoi titoli di carpentiere, le sue lettere di raccomandazione di scuole e istituti governativi e già non sapevo bene come maneggiare la situazione, quando arriva la direttrice con qualche insegnante a dirmi che una ragazza vuole ringraziarmi per il lavoro fatto. Ero già sintonizzata sulla frequenza “Voglio sparire ZOT” grazie al carpentiere, dopo l’annuncio l’intensità si è amplificata: VOGLIOSPARIREZOT!!
E siccome l’imbarazzo quando si affaccia si installa e filtra tutto ciò che sta per accadere, la ragazzina non si trova, io spero silenziosamente di poter rimandare per non essere proprio sola in una situazione come quella, la direttrice non vuole e non può rimandare perché il giorno successivo non ci sarà (non importa, non importa, come se…), il cervello mi va in blocco (cosa devo fare? come devo agire?), intanto che si cerca la ragazzina mi trovo sola col carpentiere per un tempo incommensurabile durante il quale lui mi dice delle cose che cerco disperatamente di capire, delle quali cerco di capire il senso (Dio di benedirà se tu mi telefonerai… Prego? Si, Dio ti benedirà se tu mi penserai e mi manderai un messaggio dall’Italia… Sei sicuro?), quasi finalmente la ragazzina compare, ha una cicatrice raggrumata sopra l’occhio sinistro, inizia a recitare dei ringraziamenti guardando nel vuoto, capisco poco di quello che dice, penso: che sia cieca? mi dico: no, non mi pare che la scuola sia attrezzata per istruire ciechi, colgo qualcosa come “studierò con impegno, grazie grazie”, recita, è in piedi con le mani nelle mani, dondolante, lunga lunga, lo sguardo altrove, e allora pure mi emoziono e l’imbarazzo e l’emozione formano un impasto micidiale, farfuglio qualcosa anch’io… grazie a te, tu sei il nostro futuro, e ci caccio dentro anche questo rospone che mi porto appresso e che piazzo ora qui ora là con impaccio, tutte le volte che mi sembra che ce ne sia l’occasione (e, a volte, l’occasione non è proprio quella più adatta… ma tant’è), studia per imparare a scegliere, per formarti il senso critico… accidenti al rospo ciccione, cosa vuoi fare da grande? “La meteorologa” e vai con il cambiamento climatico e grazie e grazie e il futuro ecc…
Ad un tratto tutto finisce, la ragazzina va, la direttrice è sparita, gli insegnanti pure… Grazie grazie, ci vediamo a novembre.
Scivolo fuori, inforco la mia bicicletta. Accipicchia.
Sulla strada del ritorno ci sono un sacco di ragazzini e ragazzine con la divisa della scuola, è l’ora di pranzo. Mi chiedo se ci sia anche la ragazzina Elena, ma lancio sguardi veloci. Mi piacerebbe trovare il sistema di formulare in modo comprensibile ed efficace il rospone e trovare il sistema di rivolgermi, in un modo che non so, a tutti gli studenti, singolarmente.
Formulo motti (l’educazione è…) e lascio sbollire l’imbarazzo.

Comunque… il tetto è fatto.

Fiuuuu…